Questo è un racconto di fortuna, ma con un pizzico di amarezza. È la storia di come un piccolo tag da 10 euro mi abbia permesso di recuperare una bici elettrica da 800 euro. Ma è anche la spiacevole constatazione di come un privato cittadino possa sentirsi per lunghi momenti impotente di fronte a un caso di furto. Visto che in questa storia c'è un lieto fine, scriverne è come una liberazione. Non sono Sherlock Holmes né Josef K. del Processo di Kafka, ma certe sensazioni mi sono parse paradossalmente familiari.
Innanzitutto i fatti. Primo pomeriggio di sabato, sono pronto per andare in redazione, ma quando scendo nel seminterrato del palazzo, la triste sorpresa: la mia fedele bici non c'è più. Svanita. Sono momenti in cui lo sconforto prende il sopravvento e la lucidità di pensiero viene meno. Chiamo la mia compagna per sfogarmi un po' e mi avvio verso la redazione con i mezzi pubblici. È solo sulla metro che mi ricordo del tag. È un aggeggio grande come una batteria piatta che avevo fissato alla bici e che ne permette la geolocalizzazione. Apro l'app: la bici è a Chiaravalle. Forse ho una chance, penso. Chiamo il vicedirettore del Giornale per spiegargli del mio possibile ritardo, ma lui è categorico: "Fai la denuncia e vai a cercarla. Noi ti aspettiamo qui". Scendo dalla metro e in pochi minuti sono in commissariato. Qui la prima (triste) sorpresa: il commissariato è in pausa e non riapre prima delle 15. Guardo l'orologio e sono "solo" le 13.45. Racconto all'agente in guardiola la mia vicenda e lui mi spiega che se mi reco dove la bicicletta è localizzata e chiamo il 112, le forze dell'ordine possono intervenire. Anche senza denuncia.
Corro a casa, prendo la macchina e in pochi minuti sono a Chiaravalle, piccolo quartiere alla periferia sud di Milano. Quando arrivo, trovo solo una strada senza uscita, una manciata di case basse e un palazzo circondato da un cortile. Però il telefono non sbaglia: è proprio qui. Chiamo il 112, ma la risposta è negativa: "Se la vede possiamo intervenire, altrimenti no". Mi sento sopraffatto. Piegato dalla legge a pochi passi dal traguardo. La mia bicicletta è a non più di una decina di metri, ma nessuno può aiutarmi. Faccio il giro dell'isolato più volte, mi sporgo sopra i cancelli, chiedo a qualche passante. Della bici nemmeno l'ombra.
Ora, dovete sapere che questo tag ha un allarme sonoro che può essere attivato dallo smartphone, ma solamente quando si è molto vicini al tag stesso. Provo più volte ad attivare la suoneria, invano: "Oggetto non raggiungibile, per connetterti muoviti". Cammino avanti e indietro nella speranza di un colpo di fortuna quando l'app cambia schermata: "Il tag sta suonando". Sono vicinissimo. Forse ci siamo. Eppure non riesco a sentire alcun cicalino. Mi accorgo che riesco a far "suonare" l'allarme solo quando mi avvicino a una finestrella al piano terra di un palazzo. Penso possano essere le cantine, ma non vedendo la bici né sentendo alcun suono mi arrendo. È già passata un'ora e non ho risolto alcunché. Decido di mettermi il cuore in pace: vado al Giornale e domattina andrò a fare denuncia. Ma sotto sotto spero che il tag possa in qualsiasi momento riattivarsi.
Il pomeriggio passa senza novità, è ormai sera e mentre sto rincasando, nuovo colpo di scena: la bicicletta si sta muovendo verso Milano, direzione Navigli. Mi avvicino il più possibile alla Darsena e nel mentre valuto le possibili opzioni: a) il ladro sta tornando in città per rivenderla; b) sarà stata rubata da qualche testa calda che la abbandonerà una volta esauritasi la batteria; c) varie ed eventuali. Naturalmente, come scoprirete a breve, era vera la terza opzione. Quando sono in zona, la bici è localizzata in via Gola, non proprio la strada più sicura di Milano, ma vabbè. Ecco, quel "vabbè" è stata l'unica mia mossa veramente incauta: dovessi mai ritrovarmi nella stessa situazione, chiamerò le forze dell'ordine senza agire in autonomia. Comunque, arrivo sul posto e la vedo. È parcheggiata vicino a un bar, dove bivacca un clochard. Mi avvicino e con l'app verifico che sia proprio lei. Eureka, è così. Ma ancora una volta a un metro dal traguardo nuovo stop: si avvicinano quattro ragazzi nordafricani, fortunatamente non minacciosi, e uno di loro mi dice di essere il "proprietario" della bicicletta. Parliamo un po' e scopro che è lui ad aver "comprato" il mezzo due sere prima per 150 euro da quello che mi racconta essere "un tossicodipendente che cercava soldi per la droga". Quando gli dimostro, facendo suonare il tag, che la bici è mia e che sono pronto a chiamare le forze dell'ordine per risolvere la questione, il ragazzo è molto accomodante. Mi dà ragione, mi restituisce la bici e posso tornare a casa. Soddisfatto ma ancora scombussolato dalla giornata.
Oggi, a mente fredda, continuo a interrogarmi sui limiti di una legge che, mentre assicura un diritto (quello della proprietà privata), ne impedisce un altro (quello di poter riottenere ciò che mi è stato sottratto), ma non trovo soluzioni. Al che mi domando: giustizia è fatta? Probabilmente sì, ma non del tutto.