Gentile direttore Feltri,
ma che ne pensa della proposta di Netanyahu di candidare Donald Trump al Nobel per la Pace? A me sembra una cosa folle, con tutto il rispetto per Trump, che pure non mi dispiace, ma non mi pare proprio l'uomo della concordia.
Marco Bianchi
Caro Marco,
capisco il suo stupore, ma le confesso che io invece non ho riso. Anzi. Ho annuito. Perché, a ben vedere, la proposta di Netanyahu ha più senso di quanto si creda. Certo, oggi la sinistra internazionale si butta giù dal balcone appena sente il nome Trump. Per i progressisti, il presidente americano è una specie di Attila con la giacca blu e la cravatta rossa, il responsabile universale di ogni crimine della galassia: misogino, omofobo, razzista, guerrafondaio, probabilmente pure colpevole del riscaldamento globale e dell'inflazione. Ma proviamo, per una volta, a giudicare Trump non per le sue battute né per il suo linguaggio poco formale o poco istituzionale né per il suo ciuffo ribelle, bensì per i fatti. Egli è stato l'unico presidente americano degli ultimi decenni a non trascinare gli Stati Uniti in una guerra. Non ha bombardato a tappeto, non ha destabilizzato nuove Nazioni. Piuttosto, ha cercato, con l'irruenza che lo contraddistingue, certo, di far sedere i nemici al tavolo, cosa che alla sinistra piaceva tanto quando lo faceva un certo Obama. Trump, però, non si è limitato ai buoni propositi: ha concluso gli Accordi di Abramo, nel 2020, un fatto storico che ha normalizzato le relazioni tra Israele e numerosi Paesi arabi, Emirati Arabi, Bahrein, Marocco, Sudan, non bruscolini. Eppure nessuno ha consegnato a Trump nemmeno una stretta di mano, figurarsi un premio. E già allora sarebbe stato meritato. Più recentemente, durante la campagna elettorale, il tycoon ha dichiarato apertamente che lui parlerebbe con Putin e con Zelensky, che lui si muoverebbe per far finire la guerra in Ucraina. Poi lo ha fatto. Ci ha provato. E tuttora ci prova, pur avendo riconosciuto che l'impresa è più ardua del previsto. E non è poco, in un'epoca in cui quasi tutti i leader occidentali alimentano i conflitti a colpi di armamenti, senza mai nominare la parola negoziato. Non c'è da meravigliarsi, quindi, se perfino Hamas sì, Hamas ha riconosciuto che Trump è un interlocutore scomodo, ma con cui si può parlare, perché è affidabile e sa trattare e mediare. Forse questo spiega perché Netanyahu abbia avuto l'ardire di proporlo al Nobel: perché è stato l'unico ad avvicinare i poli opposti senza trasformarsi in un pupazzo dell'Onu o in un araldo della guerra umanitaria. Insomma, nel suo operare per la pace Trump gode di autorevolezza. E questo gli è riconosciuto sia da Israele che da Hamas, sia da Kiev che da Mosca. Intanto i sedicenti pacifisti ridacchiano e lo criticano. Ma questi signori qui cosa diavolo hanno compiuto in favore della concordia? Te lo dico io: un bel niente.
Sarà pure un personaggio ingombrante, Donald. Sarà vanitoso, ruvido, talvolta ingestibile. Persino insopportabile. Ma non ha mai parlato di pace in modo ipocrita, e non ha mai usato la pace per fare la guerra. Perciò, la vera domanda non è: Trump merita il Nobel?. La vera domanda è: perché altri, molto più bellicosi di lui, lo hanno ricevuto? Forse, come disse il suo predecessore Barack Obama dopo essere stato premiato senza aver fatto ancora nulla: Lo prendo come un incoraggiamento. Ecco, Trump almeno qualcosa l'ha fatta. Anche se non va a genio ai rappresentanti del perbenismo. Mi spiace, caro Marco, ma io concludo parafrasando lo slogan di Netanyahu:
Peace through Trump, Pace tramite Trump, per mezzo di Trump, grazie a Trump.
Con buona pace dei pacifisti da salotto.