Quella strana nostalgia della Prima Repubblica

Scritto il 08/12/2025
da Augusto Minzolini

Oggi cade il centenario della nascita di Arnaldo Forlani. Segretario della Dc, ministro della Difesa e degli Esteri, presidente del Consiglio, atlantista fino al midollo, uno dei triumviri del famigerato CAF criminalizzato dalla narrativa di sinistra e ritratto in maniera impietosa e maramaldesca mentre viene bistrattato da Antonio Di Pietro nel processo di Tangentopoli. Eppure - ne sono testimone - se parli oggi con ogni tassista o con buona parte dei comuni cittadini che hanno conosciuto quei tempi ti accorgi che affiora una certa nostalgia per i Forlani come per gli Andreotti, i Craxi, i De Mita, i Berlinguer o gli Almirante. E in fondo anche per quel Cavaliere che fu figlio della Prima Repubblica e complice del suo tramonto. Una sorta di ricordo dei bei tempi antichi. Chi l'avrebbe mai detto: e pensare che con Tangentopoli fu processata e indicata al pubblico ludibrio un'intera classe dirigente con l'accusa di aver distrutto un Paese come a Norimberga.

Oggi c'è un rimpianto neppure tanto nascosto per lo stile di quei personaggi. Si ha la sensazione che con quel lavacro per tanti anni osannato alla fine si sia gettato il bambino insieme all'acqua sporca. Così la delusione e il desiderio del passato per alcuni versi si incrociano e sono una spinta a riflettere. Dopo trent'anni sono tornati di moda le preferenze e il proporzionale perché l'elettore si è stancato di votare senza poter scegliere il proprio candidato. Gli eletti di una volta conoscevano quasi ad uno ad uno i loro elettori. Anche le raccomandazioni in fondo erano un legame tra un parlamentare e il territorio che rappresentava. Oggi con un reato inventato come il voto di scambio siamo quasi all'anonimato. Nella Prima Repubblica se proprio non ti andava bene questo o quel partito seguivi il consiglio del fondatore di questo giornale e votavi turandoti il naso. Oggi la protesta è talmente profonda e silenziosa che la vedi nelle urne deserte.

E poi quella falsa rivoluzione (la citazione è di Bettino Craxi) a cosa è servita? A quei tempi se non eri d'accordo sulla politica estera non entravi in un governo eppure avevi a che fare con una guerra fredda, che è stata minacciata ma non è mai stata combattuta almeno in Europa. Ora che conviviamo con un conflitto tragico nel cuore del Vecchio Continente e che sta durando più del primo conflitto mondiale, l'assenza di un accordo sull'argomento è considerato un problema marginale. Nelle coalizioni la politica estera conta meno e ha meno conseguenze della disputa sul candidato sindaco per Roma o per Milano.

Segni di un declino quotidianamente rimosso. Un declino di cui hai prova nel pentimento più o meno confessato di Antonio Di Pietro o nell'immagine di Piercamillo Davigo che da Torquemada di ieri si ritrova nei panni del condannato di oggi. Per cui viene spontaneo il dubbio che forse in qualche cosa si è sbagliato. Ti viene in mente la frase di rito sospirata dai nostri padri: si stava meglio quando si stava peggio. Così torni a parlare di proporzionale, di preferenze e ti prepari a completare con la separazione delle carriere una riforma della giustizia le cui basi furono poste trent'anni fa da un altro uomo della Prima Repubblica, Giuliano Vassalli, e che l'avvento di Tangentopoli e di un nuovo potere, la magistratura, rese monca. Così anche il referendum della prossima primavera, nessuno lo ammetterà mai, ha il sapore di un amarcord. Verrebbe da chiedersi perché se c'è questa nostalgia latente i partitini eredi dei partitoni di trent'anni fa, dalla Democrazia Cristiana ai socialisti, non hanno il consenso che dovrebbero avere. "La verità - confida un dc non pentito come Gianfranco Rotondi - è che portiamo i nomi della Prima Repubblica ma ci considerano inquinati dalla Seconda". Ci sarebbe tanto da meditare pensando a Forlani e al suo tempo finalmente a riparo dai fragori della Cronaca e con gli occhi rivolti alla Storia.