Italia anno zero: cosa fare per evitare l’ennesima eliminazione ai playoff mondiali

Scritto il 18/11/2025
da Luca Bocci

L'umiliazione del Meazza contro la Norvegia è il peggior viatico prima delle partite di marzo nelle quali gli Azzurri si giocano il mondiale 2026. Cosa potrà fare Gattuso per evitare la terza eliminazione consecutiva?

Sette gol in due partite da una nazionale che, fino a pochi anni fa, avremmo considerato una comprimaria. Appena quei “vichinghi” della Norvegia si sono decisi a giocare, hanno preso a pallonate l’Italia quattro volte campione del mondo, rifilando all’undici di Gattuso tre reti in pochi minuti. L’incubo degli incubi, il terzo mondiale guardato dal divano, diventa lo spauracchio del sistema calcio italiano, che teme di ritrovarsi sempre più ai margini della modernità. Polemiche e fischi a parte, la domanda delle mille pistole è sempre la stessa: cosa fare per evitare che una Nazionale perennemente sull’orlo di una crisi di nervi precipiti nel baratro dell’irrilevanza?

Una fragilità mentale impressionante

L’arrivo sulla panchina della Nazionale di Gennaro Gattuso era stato salutato da molti con entusiasmo non tanto per le sue qualità tecniche ma soprattutto per chi se lo ricordava a ringhiare in campo con la maglia del Milan, mordendo le caviglie degli avversari dei rossoneri. Gattuso era arrivato soprattutto per porre rimedio al peccato originale degli Azzurri: una fragilità mentale inaudita che nessun tecnico è finora riuscito a guarire. Fino a quando le cose vanno secondo i piani, l’Italia tiene bene il campo, talvolta esprime pure un gioco piacevole, aggredendo quando serve e ripiegando per evitare i pericoli. Basta, però, che qualcosa vada storto, da un errore difensivo ad una delle rare papere di Gigio Donnarumma perché il castello di carte imploda su sé stesso, facendo andare nel panico più totale gli Azzurri. La narrativa che circonda l’Italia aveva ripetuto fino alla noia come Gattuso avesse saputo conquistare i cuori dei giocatori, riuscendo a trasmettere la sua filosofia basata su grinta, orgoglio e determinazione. Eppure, appena la Norvegia arrivata a Milano per festeggiare coi propri tifosi la prima qualificazione ai mondiali dal 1998 si è decisa a giocare sul serio, gli Azzurri sono evaporati dal campo, subendo un’umiliazione memorabile davanti ai settantamila del Meazza.

Se la qualificazione diretta era praticamente impossibile, una vittoria contro la Norvegia sarebbe stata importante per il ranking Fifa, determinante nella formazione del tabellone per il prossimo mondiale. Troppo esoterica come motivazione? Sono stati proprio i risultati pessimi raccolti in Nations League a farci finire nel girone di una delle possibili mine vaganti del prossimo mondiale: se avessimo battuto la Germania, saremmo finiti con Slovacchia, Irlanda del Nord e Lussemburgo. Visto che, evidentemente, non serve a molto “ringhiare”, magari sarebbe il caso di cambiare approccio ed affrontare in maniera seria la preparazione psicologica prima delle partite. L’Italia si è cacciata in un vicolo cieco, costretta ad infliggere una caterva di reti alla Norvegia non solo per le sberle prese ad Oslo ma soprattutto perché con squadre oggettivamente inferiori come Moldavia ed Estonia non abbiamo tenuto il passo di Haaland e soci. Le regole erano note a tutti fin dall’inizio del girone e, nonostante l’importanza critica della differenza reti, appena passava in vantaggio l’Italia sembrava sgonfiarsi, preoccupata di non spendere troppe energie in vista delle partite di campionato. Magari un mental coach alla Jacobs non sarà la panacea di tutti i mali ma, a questo punto, perché non tentarle tutte?

Una Nazionale figlia del campionato

Fare considerazioni ora rispetto alla formazione da schierare in partite che si terranno tra più di quattro mesi fa un po’ sorridere ma, in fondo, tradisce l’approccio ideologico che molti hanno rispetto alla Nazionale. In un paese che ha sessanta milioni di Ct è forse inevitabile ma molti non riescono a scrollarsi di dosso la sensazione che l’Italia sia ancora afflitta da un male atavico del nostro calcio: l’influenza di procuratori e dei club nella composizione dell’undici titolare. L’unico vantaggio dell’assurdo calendario internazionale è il fatto che le partite decisive per il futuro degli Azzurri si giocheranno il 26 e 31 marzo. Il tempo per cambiare passo e rimediare ad alcuni degli errori visti negli ultimi mesi non manca ma resta da capire come usarlo al meglio. C’è chi dice che Gattuso dovrebbe convocare i giocatori della rosa a febbraio per uno stage, anche se questo farebbe andare in bestia i club impegnati in Europa ma il vero salto di qualità si deve fare su due fronti: tattica e realismo. Invece di intestardirsi a riproporre di continuo alcuni totem come la difesa a tre anche quando non ci sono giocatori adatti, bisognerebbe guardare meglio come giocano le squadre nelle quali militano i calciatori a disposizione e trovare il modo di sfruttarne al meglio le caratteristiche. Possiamo davvero permetterci le due punte anche quando il centravanti titolare è infortunato o quando i rincalzi non sono al massimo?

Il lavoro del commissario tecnico non è quello di “decidere” quali siano gli undici calciatori più forti e meritevoli della maglia azzurra ma selezionare chi stia meglio, chi abbia dimostrato di essere in un momento di forma migliore. Politano e Di Lorenzo sono ottimi giocatori ma non è una novità il fatto che, dopo un’ora di gioco calino in maniera preoccupante: contro una mediana fisica e tecnica come quella norvegese sarebbe servita più la forza di Cristante delle geometrie dell’ordinato Locatelli. Specialmente in un momento di estrema emergenza come quello che sta vivendo il sistema calcio, non è più tempo di massimalismi, simpatie o questioni dottrinarie: l’unico obiettivo è vincere le due partite da dentro o fuori e scacciare l’incubo di un terzo mondiale a casa. Inutile lamentarsi del fatto che di italiani in campo nella Serie A ce ne siano sempre meno, che non abbiamo più a disposizione talenti come Baggio, Pirlo o Totti: servirà selezionare 23 calciatori disposti a non fare calcoli, a non pensare alle sfide del proprio club e dare tutto per trascinare l’Italia al mondiale. Se la Nazionale non rifletterà i valori visti in campionato per chissà quale ragione, si meriterà di diventare lo zimbello del calcio mondiale.

Un sistema ostile alla Nazionale?

Il silenzio assordante della Federcalcio nasconde un clima da tragedia greca e la consapevolezza che, nonostante una stampa fin troppo condiscendente, l’uscita dai playoff di marzo vorrebbe dire il crollo di quel sistema di interessi ed equilibri che tiene in piedi il calcio tricolore. Quella rivoluzione chiesta a gran voce dai tifosi imbufaliti, col cuore a pezzi dopo le troppe delusioni degli ultimi anni non risponde agli interessi di chi fa il bello e cattivo tempo. La Figc è sempre più vaso di coccio tra i vasi di ferro dei nuovi proprietari del calcio azzurro, le proprietà straniere che considerano i club italiani come piattaforme per fare soldi con la compra-vendita dei giocatori e poco altro. Il fatto che gli undici titolari delle grandi d’Italia vedano sempre più stranieri in campo sarebbe principalmente dovuto al fatto che si comprano a prezzi migliori e, soprattutto, forniscono più garanzie alle squadre top europee. I calciatori italiani pagano il provincialismo della Serie A ma anche la reputazione di eccessivo tatticismo e allergia a competizioni come la Premier League, molto più esigente dal punto di vista fisico. Il paradosso, però, è un altro: come mai le nazionali azzurre fanno cose eccellenti fino agli under 18 per poi perdersi più avanti?

Come mai tanti giovanissimi talenti tricolori fanno faville nelle giovanili per poi venire inesorabilmente distrutti dalle logiche dei procuratori-padroni e del calcio-business? C’è chi se la prende con il fatto che nelle scuole calcio si punti solo sul fisico, che nessuno insegni davvero i fondamentali come si faceva una volta, che gli allenatori sono troppo protagonisti e finiscano col togliere la fantasia ai giovani, tutte considerazioni valide ma che lasciano il tempo che trovano. La patria di Baggio e Totti non è più in grado di creare nè numeri 10 né ali in grado di dribblare gli avversari come facevano una volta Bruno Conti e Donadoni. Altri, invece, se la prendono con una dirigenza troppo “politica”, abbarbicata alla cadrega e totalmente incapace di rifondare da zero l’ambiente spesso tossico che si respira attorno alla nazionale. Alla fine, però, la realtà è un’altra: se lo status quo è rimasto in piedi nonostante le terribili delusioni degli anni scorsi ed un crollo verticale della qualità della Nazionale, è perché fa comodo a troppi. Cambiare non sarà né semplice né indolore.

Playoff, dipende tutto dall’approccio

Dopo le due esperienze traumatiche del 2017 e del 2022, verrebbe da chiedersi se il calcio italiano abbia imparato qualcosa su come affrontare queste forche caudine senza uscirne con le ossa rotte. In attesa degli ultimi verdetti delle partite di martedì sera, il quadro del sorteggio di Zurigo sembra piuttosto chiaro. Invece di preoccuparsi subito della finale, il primo ostacolo sarà la semifinale, che vedrà l’Italia affrontare una delle quattro squadre ripescate grazie ai risultati nella Nations League. Nonostante venga da un periodo negativo e molto turbolento, l’avversaria più temibile è senza dubbio la Svezia: scaramanzia a parte, gli scandinavi hanno dovuto fare a meno per quasi tutto il torneo dei bomber Gyokeres ed Isak, giocatori pagati oltre 200 milioni da Arsenal e Liverpool. Molto più gestibile la sconfitta della sfida tra Galles e Macedonia del Nord di martedì sera mentre la Romania di Lucescu, pur non essendo più ai livelli di una volta, è sempre da prendere con le molle. L’Irlanda del Nord è una squadra molto ordinata, fisica ma un po’ povera di talento: il rischio più grande in questo caso sarebbe di sottovalutarla ed essere presi di sorpresa come successo tre anni fa nell’infausto spareggio di Palermo.

Molto più complicato capire quale tra le rimanenti otto squadre che parteciperanno ai playoff potrebbe affrontare gli Azzurri nella finale. L’unica cosa certa è che non incroceranno le altre tre teste di serie, al momento Turchia, Ucraina e Polonia, consolazione non da poco, considerate le qualità dell’undici di Montella e dei compagni di Lewandowski. La rivale forse più ostica potrebbe essere la Scozia dei napoletani McTominay e Gilmour ma i britannici potrebbero vincere il loro girone battendo ad Hampden Park la Danimarca. La Slovacchia dell’ex Napoli Calzona ha rimediato un umiliante 0-6 dalla Germania ma potrebbe dire la sua, grazie agli “italiani” Skriniar e Lobotka mentre più indecifrabili sono la Repubblica Ceca e l’Irlanda, che ha appena battuto 2-0 il Portogallo di Cristiano Ronaldo. Le ultime due volte che abbiamo incrociato i Verdi ad europei e mondiali, nel 1994 e 2016, abbiamo perso per 1-0 ma, a questo punto, la scaramanzia conta zero. Se l’Italia giocherà da Italia, rispettando come merita ogni avversario ma senza farsi prendere dal nervosismo, accedere al mondiale 2026 sarebbe il minimo sindacale. Non saremo più la superpotenza di un tempo ma la qualità media dei singoli sarebbe più che sufficiente a staccare il biglietto per l’America. A Gattuso il compito non invidiabile di scegliere i calciatori giusti e farli giocare in maniera decorosa.