La dura lezione di Singapore alle atlete azzurre e alla nostra giustizia

Scritto il 03/09/2025
da Filippo Facci

La "società civile" ha ancora molto da imparare: le nuotatrici italiane lo insegnano

La vicenda delle due nuotatrici che hanno rubacchiato all'aeroporto di Singapore può insegnare molte cose, sempre che si voglia impararle. Una è che rubare è un reato, e non solo a Singapore. Una seconda riguarda le consuetudini dei Paesi che si frequentano anche solo di passaggio: a Singapore è proibito sputare per terra (da 1000 a 5000 dollari di multa) o cantare per strada (sino a 3 mesi di carcere) o masticare o possedere un chewing gum (sino a 100mila dollari o due anni di carcere) e menzione speciale, infine, per il vandalismo: oltre alla galera, prevede la fustigazione con una canna in rattan. Detto questo, rubacchiare in aeroporto prevede sino a 7 anni: e Singapore non è l'unico paese che prevede delle pene molto severe, ma è tra le nazioni più efficienti nel farle rispettare. Detto anche questo, a proposito della flagranza di reato delle due nuotatrici e della loro successiva reazione, c'è però un aspetto che ha notato solo l'opinionista e sociologo Luca Ricolfi, ossia che la nostra cosiddetta società civile (le nuotatrici, nel caso) ormai batte la politica anche in reticenza e in elusività linguistica. Una delle due ragazze, infatti, ha detto così: "Non ho mai avuto intenzione di compiere gesti inadeguati e chi mi conosce sa quanto tengo ai valori dello sport, alla correttezza e all'onestà personale... Da questa esperienza comunque traggo grandi insegnamenti sulla prudenza, sulla responsabilità individuale e sul valore delle persone che mi circondano". Cioè: ha rubato un profumo, ma il furto è diventato un "gesto inadeguato" per cui parlarci dei valori dello sport e dei "grandi insegnamenti" che poi sarebbero, perlomeno a Singapore, che se rubi finisci in galera. Ergo: non si è banalmente scusata, limitandosi a dire che era stata la sua compagna a infilarle un profumo nella borsa, ma ci ha spiegato che non si deve rubare se non altro per "prudenza".

Da qui il paragone con la politica. Quando, circa un anno fa, Piero Fassino incappò in un caso analogo (e in termini di immagine la pagò salatissima) l'ex sindaco di Torino se ne uscì così: "Ero a Fiumicino e volevo fare un regalo a mia moglie. Avevo le mani occupate e ho messo il profumo in tasca, ma intendevo pagarlo". Da applauso, in confronto alla povera nuotatrice: alla quale, probabilmente, quelle parole gliele hanno scritte.

Il dato da registrare, ora, non è tanto una smodata passione italiana per i profumi: la postura paternalistica a fronte del mero furtarello (da noi, in Italia) confina col Paese che sui cartelli scrive "severamente vietato" anziché "vietato" e basta; nella maggioranza dei supermercati nostrani, per dire, il taccheggio è considerato una voce negativa di bilancio, comunque meno costosa di un efficiente servizio di vigilanza.

Probabilmente è un prezzo che paghiamo alla libertà e alla democrazia e alla tolleranza, d'accordo, dicorso lungo. Però, come spiega la Fondazione Hume, la ferrea volontà di far rispettare le leggi, a suo modo, funziona: fatto 100 il numero di furti per abitante in Italia, a Singapore si scende a 9.5, con una riduzione del 90 per cento; le cose sono più nette nel caso dei furti con scasso: fatto 100 il nostro livello, a Singapore si scende a 0.87, con un abbattimento del 99 per cento. Anche il tasso di omicidi è nettamente inferiore a quello italiano, che pure è uno dei più bassi in Europa. E non è un elogio di Singapore, questo: le ragioni per prediligere una vita nel nostro imperfetto Paese sono tante e diverse, ma, forse, non al punto da dimenticarsi che le regole, in fin dei conti, persino da noi, esistono perché siano rispettate.