"Impagnatiello, veleno a Giulia solo per farla abortire"

Scritto il 03/09/2025
da Cristina Bassi

I giudici in Appello: "Non voleva ucciderla, esclusa la premeditazione"

La Corte d'assise d'appello di Milano aggiusta il tiro su Alessandro Impagnatiello. «Non vi sono» prove, scrivono i giudici nelle motivazioni della condanna di secondo grado, che «consentano di retrodatare il proposito» dell'imputato di uccidere Giulia Tramontano «rispetto al giorno» in cui l'ha poi accoltellata. Vale a dire che avere somministrato topicida alla compagna incinta nei mesi precedenti all'omicidio avrebbe avuto lo scopo di farla abortire, non di ucciderla già da allora.

La Corte d'assise d'appello conferma l'ergastolo, ma motiva così l'esclusione dell'aggravante della premeditazione, riconosciuta in primo grado. Con il veleno l'ex barman voleva dare «una drastica soluzione» al figlio che la donna aspettava e che lui «identificava come il problema per la sua carriera, per la sua vita». Lo scopo dell'avvelenamento dunque era «l'aborto del feto» e non l'«omicidio (...) della madre». Nelle 59 pagine di motivazioni, depositate in anticipo dopo la lettura del dispositivo dello scorso 25 giugno, i giudici contestano la crudeltà e il vincolo della convivenza come aggravanti. Però appunto spiegano che non c'è stata una «deliberazione criminosa coltivata nel tempo e mai abbandonata, fino a raggiungere il proposito (...) maturato irretrattabilmente solo alle ore 15.00 - ricostruisce la Corte - del 27 maggio» 2023. Quel pomeriggio il barman avrebbe intuito che sarebbe stato «smascherato» da Giulia e dalla ragazza con cui aveva una relazione parallela (le due si erano incontrate e scambiate confidenze). Non appena saputo che la compagna stava «piombando» all'Armani Hotel dove lui era in servizio, alle 17 ha lasciato il posto di lavoro ed è rientrato in motorino a Senago. E attorno alle 19, appena Giulia «metteva piede nell'appartamento dove era attesa, veniva assalita e uccisa» con 37 coltellate. Si tratta per i giudici di un «intervallo temporale troppo breve per soddisfare il requisito cronologico» per contestare la premeditazione e poi le «azioni neutre» come il rincasare e aspettare la convivente «non riescono a disegnare alcun agguato, significativo» per sostenere l'aggravante. Per la Corte infine, «Impagnatiello ha ucciso» la fidanzata «non già perché lei voleva lasciarlo; non già perché gli stava dando un figlio che, in fondo, non desiderava affatto, e neppure perché paventava un futuro di carte bollate, controversie giudiziarie per obblighi di mantenimento e affido congiunto», ma «perché lei (...) lo aveva sbugiardato dinnanzi a coloro che, ai suoi occhi, rappresentavano la proiezione pubblica di sé, la facciata ostensibile, infiggendogli quella che era per lui intollerabile umiliazione» sul «palcoscenico» di un locale per vip.