Per Cedacri niente Golden Power. Ma il governo tiene alta la guardia

Scritto il 07/12/2025
da Gian Maria De Francesco

I giudici non confutano la cautela dell'esecutivo

La sentenza con cui il Consiglio di Stato ha annullato il decreto Golden Power imposto nel 2023 su Cedacri chiude un capitolo, ma non ne smentisce la logica politica. La società emiliana, snodo centrale dell'infrastruttura informatica bancaria, era stata acquisita due anni prima dal gruppo Ion di Andrea Pignataro attraverso un leveraged buyout. Il successivo reverse merger tra veicolo e target aveva fatto emergere un debito significativo. Nel 2023 Cedacri aveva poi varato un prestito obbligazionario convertibile, garantito da un'estensione dei pegni sulle azioni della società stessa, con l'obiettivo di distribuire dividendi agli azionisti. In questo intreccio fra leva finanziaria, garanzie sui titoli e possibile futura convertibilità, il governo - forte della revisione della normativa Golden Power con il dl Energia del 2022 - aveva letto il rischio potenziale di un indebolimento della stabilità proprietaria di un asset strategico. È in questa cornice che la Presidenza del Consiglio era intervenuta. Il Golden Power non si era limitato a monitorare l'operazione, ma aveva imposto che i proventi del bond venissero destinati agli investimenti e non alla remunerazione degli azionisti: un modo per evitare che la leva usata per l'acquisizione e la nuova emissione potessero tradursi, nel medio periodo, in un indebolimento della struttura patrimoniale o in un passaggio di mano della proprietà. L'obiettivo era mantenere Cedacri - custode di tecnologie e dati critici per il settore finanziario - saldamente in un perimetro nazionale.

Il Consiglio di Stato ha però ribaltato questa impostazione. Nella sentenza i giudici rilevano che la convenzione di pegno era costruita in modo da escludere "qualsiasi trasferimento di diritti di voto, amministrativi o economici ai creditori pignoratizi fino al verificarsi di un inadempimento". L'annullamento della sentenza del Tar nasce dal fatto che solo in caso di escussione del pegno si sarebbe potuto verificare un cambio di controllo al quale il governo avrebbe potuto opporsi tramite il Golden Power. I poteri speciali, ha aggiunto Palazzo Spada, devono essere sottoposti "a un regime di stretta interpretazione" perché un'estensione impropria li trasformerebbe in "uno strumento di politica industriale, estraneo alle sue finalità".

La sentenza circoscrive, quindi, il perimetro della legge, chiarendo che occorrono effetti immediati e concreti sulla governance. Al tempo stesso, non sminuisce le preoccupazioni del governo. In un settore chiave come l'intelligence finanziaria la lettura prudenziale dell'esecutivo considerava anche il rischio sistemico, azione politicamente comprensibile. Un fattore sovente omesso alla luce delle interpretazioni capziose del caso Unicredit-Banco Bpm.