Donald Trump ha indossato la sua maschera più conciliante ieri a Mar-a-Lago. Quella del Grande Tessitore di accordi, orgoglioso dei risultati che ama ripetere di aver ottenuto in tema di pace nel mondo. Accogliendo Volodymyr Zelensky alla presenza dei giornalisti prima del loro colloquio riservato, ha avuto parole di elogio non solo per lui, ma un po' per tutti, perfino per i leader europei ("eccezionali") che lui e Putin hanno voluto di comune accordo tenere fuori dalla porta. Ha insistito sul possibile approssimarsi di un'intesa, ma ha anche ammesso cosa che non ama mai fare che scadenze fissate o credibili per questa intesa non ce ne sono: il contesto è troppo complesso per spingersi a tanto. E del resto, tutte le volte che Trump ha cercato di imporre scadenze categoriche ai protagonisti di questa guerra (solitamente a Zelensky) ha poi dovuto prendere atto dell'inutilità di questo metodo.
Viste queste premesse, non era prevedibile che il risultato del faccia a faccia tra Trump e Zelensky (il quarto quest'anno) producesse risultati risolutivi. Anche perché lo stesso Trump ha chiarito che l'incontro con il leader ucraino era stato preceduto da una sua telefonata - immancabilmente definita "molto produttiva" con Vladimir Putin, e che al termine dell'incontro ne sarebbe seguita un'altra, oltre a una videoconferenza con i leader europei: una conferma degli annunciati tempi lunghi, insomma.
Oltretutto, nonostante Trump abbia assicurato che il leader russo persegue seriamente la pace perfino mentre continua a devastare l'Ucraina con le sue bombe, Putin non cessa di essere chiarissimo, e lo è stato anche ieri: pretendiamo che le nostre richieste siano tutte soddisfatte, ha ripetuto, oppure conseguiremo i nostri obiettivi con la forza. Concetto che dal Cremlino hanno espresso ieri anche obliquamente, riprendendo con significativa rapidità una frase usata da Trump. Zelensky è un uomo molto coraggioso, aveva detto il presidente americano, e subito Mosca ha fatto proprio il punto: servono scelte coraggiose da parte di Zelensky. Il che vuol dire: il coraggio di cedere alle pretese di Putin.
Dunque quello di Mar-a-Lago è stato un altro incontro improduttivo? Improduttivo è forse troppo: a voler essere ottimisti, possiamo parlare di un mattoncino di buona volontà, messo lì quanto meno da Trump e Zelensky. La parola giusta sembra semmai essere: interlocutorio. Che è poi quello che voleva Putin: siccome sa che gli è impossibile ottenere per via negoziale tutto ciò che pretende, guadagna tempo e prosegue la sua guerra d'aggressione.
Quanto allo stile messo in campo ieri da Trump, non è parso granché innovativo. Dimenticati i toni terribili utilizzati in occasione della prima visita di Zelensky alla Casa Bianca dieci mesi fa, quando Trump e il suo vice JD Vance gli avevano quasi gridato che "non aveva carte da giocare a questo tavolo", il presidente Usa è sembrato volersi mostrare comprensivo delle attese del popolo ucraino, capire che la loro esigenza di sentirsi realmente garantiti nella loro sicurezza in caso di accordo di pace è giusta e fondata. Il guaio con Trump è però proprio questo: a seconda dell'interlocutore del momento, il suo atteggiamento e le sue argomentazioni variano. È difficile credere che, al telefono con Putin, egli abbia usato gli stessi toni e tenuto gli stessi punti. Manca insomma, da parte di Trump, una coerenza di fondo. E, nonostante le insistenze sul presunto trovarsi a un passo dalla pace, in realtà la possibilità di ottenere per questa via dei risultati concreti purtroppo non è elevata.

