Il 25 settembre 1992, mentre la Prima repubblica cadeva sotto i colpi di Mani Pulite, Angelo Panebianco, dalle colonne del giornale di via Solferino, notava che l'idea di una partitocrazia corrotta piovuta dal cielo per sfruttare un Paese e un popolo "innocenti" era una leggenda metropolitana e le copertine dei settimanali con le facce di Craxi, Forlani e Andreotti e la scritta Wanted era la solita invenzione del Paese reale puro e del Paese legale corrotto. La verità e la storia, come spesso accade, sono ben diverse e il caso di Arnaldo Forlani, del quale son oggi giusto giusto cent'anni dalla nascita, è esemplare. Francesco Cossiga ha ricordato che fu lo stesso Forlani a indicare con la sua solita signorilità i due motivi principali che condussero alla fine della Democrazia cristiana: "Innanzitutto, perché era nata in funzione anticomunista e atlantica, secondo, perché è venuta meno la spinta propulsiva dell'identificazione con la Chiesa". Eppure, quando si va con la mente al "coniglio mannaro", secondo la tremenda definizione che ne diedero Gianfranco Piazzesi e Giampaolo Pansa, ci si ricorda soprattutto dell'immagine del due volte ex segretario della Dc con la bava alla bocca mentre è interrogato in tribunale da Antonio Di Pietro. Ma il tempo è galantuomo o, più banalmente, è venuto il momento di dare all'allievo di Fanfani e al maestro di Casini ciò che fu di Arnaldo Forlani.
Nato a Pesaro l'8 dicembre 1925 da Luigi, proprietario terriero del Montefeltro, e da Caterina Remies, maestra elementare, Forlani ha in pratica trascorso tutta la sua vita politica nella Dc, tanto che nella sua carriera e nel suo declino si può non a torto vedere la vitalità e la "centralità" del partito democristiano dal 1948 al 1992. Anzi, nella sua prima segreteria, dal 1969 al 1973, teorizzò e praticò proprio la "centralità" della Dc come partito centrale del sistema politico e come forza contrapposta ai diversi estremismi. Questa sua politica, delineata nel 1970, è passata alla storia come il Preambolo Forlani. Tutta un'altra Italia, non c'è dubbio. Tuttavia, l'Italia non è sempre alle prese anche oggi con estremismi e radicalismi che rendono attuale la necessità della "tigre che dorme", come nel 1989 venne appellato dagli stessi democristiani, per avere stabilità di governo e sicurezza sociale? La migliore definizione della sua idea di politica è quella espressa nel titolo delle sue memorie: Potere Discreto. Cinquant'anni con la Democrazia cristiana (Marsilio). Pur essendo un uomo di potere non è stato attaccato alla poltrona. Fa fede come lasciò Palazzo Chigi nel 1981 a seguito del caso della P2 nelle cui liste compariva anche il nome del capo di Gabinetto del presidente del Consiglio dei ministri e lui, Forlani, lasciò senza colpo ferire. Il suo errore dirà poi Cossiga a sua volta nelle sue memorie La versione di K (Rai-Eri, Rizzoli) fu quello di non seguire il parere datogli dall'allora comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, Capuzzo, che gli disse: "Aspetti quindici giorni, non decida subito". Invece, Forlani, che ne aveva viste in pochi mesi, dal terremoto dell'Irpinia all'attentato a Giovanni Paolo II, tolse il disturbo. Ma solo per creare di lì a breve, dopo i due governi Spadolini, il C.A.F., la sigla più famigerata della Prima repubblica partitocratica che ebbe il merito, però, di far crescere l'Italia come mai era cresciuta dall'epoca del boom, mentre a sinistra c'era ancora il Pci che aveva come suo riferimento Mosca se è vero, come è vero, che Berlinguer solo qualche anno prima aveva definito "del tutto vivente e valida la lezione che Lenin ci ha dato". Dinanzi a queste enormità si capisce e meglio risalta la figura mite del democristiano "supremamente adattabile", come il Financial Times volle chiamare Arnaldo Forlani.

