Serial killer e inquinamento: quella curiosa teoria sull'epidemia di follia negli Usa

Scritto il 12/07/2025
da Valerio Chiapparino

L'esposizione a metalli pesanti potrebbe avere avuto un ruolo importante nell'impennata di omicidi seriali negli anni Settanta e Ottanta negli Stati Uniti

I danni provocati dall'inquinamento sulla salute mentale sono da tempo oggetto di studio da parte degli esperti. Su questa scia si inserisce Caroline Fraser, la penna premio Pulitzer che nel suo nuovo libro "Murderland" esplora una teoria che sembra legare gli effetti da esposizione a metalli pesanti all'ondata di omicidi commessi da serial killer negli anni Settanta e Ottanta negli Stati Uniti occidentali. Tra questi: Ted Bundy, l'assassino dalla doppia vita che ha ucciso almeno una trentina di donne, Gary Ridgway, il Green River Killer, 49 omicidi confermati (ancora di più quelli confessati), Randall Woodfield, il killer della strada interstatale 5 ritenuto l'autore di 44 uccisioni, e Richard Ramirez, il Night Stalker che entrava di notte nelle case sterminando intere famiglie.

Impressionanti i numeri dell'epidemia di follia che investì all'epoca gli States: negli anni Settanta ci sarebbero stati almeno 300 serial killer a caccia di vittime. 250 nel decennio successivo. Tra 120 e 180 le vittime annuali stimate nel periodo di massima attività degli assassini seriali. Tutto frutto, secondo la teoria esposta da Fraser, dell'inquinamento causato dal rilascio nell'atmosfera di sostanze nocive da parte di fonderie e raffinerie, in particolare nel nord-ovest americano. Per l'autrice del libro l'impennata di violenza era legata ad una nube composta da anidride solforosa, arsenico e piombo emanata dalla ciminiera di una fonderia a Ruston, nei pressi di Tacoma nello Stato di Washington.

Come riporta il Guardian, è stato dimostrato che il piombo nel sangue riduce il volume della parte della corteccia prefrontale che regola il comportamento, soprattutto negli uomini, e il Center for Disease Control definisce più di 3,5 microgrammi di piombo per decilitro nel sangue di un bambino come elemento preoccupante. Una soglia che nel 1960 era pari a 60 microgrammi. L'esposizione cronica a sostanze nocive riscontrata dall'analisi delle biografie di diversi serial killer rafforza la teoria analizzata da Fraser.

La premio Pulitzer non sposa del tutto il legame tra esposizione ai veleni e aumento del numero di assassini seriali ma rileva che l'inquinamento da metalli pesanti può aver amplificato anomalie comportamentali in individui particolarmente vulnerabili e inclini alla violenza. Fraser punta il dito quindi su "altri" serial killer che non sono mai stati condannati: i proprietari delle aziende che hanno avvelenato la popolazione nelle aree dove sorgevano le fabbriche. Un esempio fra tutti. Nel 1973 un incendio distrusse il sistema di filtraggio di una fonderia nell'Idaho, ottuplicandone le emissioni. Un dirigente dopo aver analizzato i costi della chiusura temporanea rispetto al risarcimento massimo per le famiglie colpite decise di mantenere l'impianto in funzione. A differenza dei vari Ted Bundy o Richard Ramirez, nessuno però ricorda il suo nome.